CHE POSTO OCCUPA IL LAVORO NELLA TUA VITA?
La nostra vita è permeata dal lavoro, maggiormente oggi dove lo smart working ha violato i già labili confini tra vita professionale e privata.
Mi sono accorta che quando si domanda a qualcuno “come stai?” statisticamente la risposta che viene fornita è per lo più inerente all’andamento del lavoro che all’esistenza nel suo complesso (es. salute, famiglia, relazioni sociali ecc..). Da qui mi sono chiesta perché tanto spazio occupa il nostro lavoro, ma soprattutto come potremmo renderlo un tempo ed un luogo a cui attribuiamo valore e significato.
Confucio diceva “Scegli il lavoro che ami e non lavorerai neppure un giorno in tutta la tua vita”.
Come possiamo avvicinarci a questo ideale?
Due sono gli aspetti che voglio enfatizzare:
- Ridefinizione del concetto di lavoro
- Senso di scopo che attribuiamo al lavoro
Il nostro concetto di lavoro è culturalmente spesso legato al fare e ai risultati, alle performances. Purtroppo, i risultati presuppongono giudizio di successo o fallimento sulle nostre competenze. Spesso viene escluso apprendimento e divertimento, aspetti che invece erano presenti nel gioco da bambini e che ci ha fatto crescere, senza quasi rendercene conto. (vedi “Il gioco interiore nel lavoro” di Timothy Gallwey).
Il concetto di divertimento sembra che nella nostra società non possa coesistere con buoni risultati. Infatti, spesso riecheggia in noi quel messaggio del passato “solo con grandi sacrifici si ottengono buoni risultati”. O comunque, la parola “divertimento” mal si associa a quella di professionalità. Quando i “devo” superano i “voglio”, forse ci troviamo in una situazione in cui “lavorare non è più divertente”. È innegabile che impegno, costanza e determinazione siano elementi imprescindibili, ma gli studi più recenti ci dicono che le migliori performances arrivano quando ci divertiamo!
“Il divertimento è sia un diritto che un’opportunità”.
Poniamoci allora queste domande:
- Come rileggere il proprio lavoro trovando un equilibro tra apprendimento, divertimento e performance?
- Che cosa amo del mio lavoro?
- Se non nutro più passione per quello che faccio, che cosa potrebbe motivarmi maggiormente?
Per quanto riguarda lo scopo, possiamo definirlo come l’impatto che vogliamo avere sul mondo. Non va confuso con gli obiettivi (ciò che vogliamo raggiungere) e nemmeno con il significato (ciò che per noi è importante, la motivazione). Il senso di scopo è il principio guida basato sul significato per cui facciamo le cose (perseguimento degli obiettivi). In un certo senso lo scopo è ciò che ci consente di mettere in comunione obiettivi e significato. Al raggiungimento degli obiettivi è legato il nostro “senso di realizzazione”. In un certo senso il successo, inteso più da un punto di vista sociale, è legato alla realizzazione, (es. il progetto x mi ha reso famoso; nel mio settore sono riconosciuto per essere un professionista affidabile). Al significato invece possiamo attribuire il “senso di soddisfazione” (es. il progetto finito rappresenta non solo il perseguimento di un obiettivo, pertanto di realizzazione, ma mi consente anche di gratificare ciò che per me è importante).
La soddisfazione può essere associata al successo, ma può essere anche disgiunta. Pensiamo ad esempio ad un coach che fa un lavoro che lo appaga pienamente, senza per questo essere annoverato nella schiera dei coach famosi o più pagati.
Nel mondo aziendale un senso di scopo dichiarato e condiviso (a prescindere del tipo di attività svolta) è un motore di energia e fonte inesauribile di coinvolgimento dei dipendenti.
Quando esiste la possibilità di fare convergere interessi collettivi/aziendali e personali vi è sicuramente il più alto grado di soddisfazione e di realizzazione.
Se osservate il grafico tratto dall’”Analisi di significato” di Viktor Frankl, in quale quadrante vi posizionereste?
Per avere il massimo livello di soddisfazione e realizzazione, cosa dovrebbe accadere?
Nella riflessione che scaturisce dagli elementi sopra evidenziati, è importante porsi alcune domande:
- Quali obiettivi trovano il pieno raggiungimento nel lavoro che svolgo attualmente?
- Come sto contribuendo a migliorare me stesso, la mia azienda, la società in cui viviamo?
- Come il mio lavoro mi può guidare nella ricerca di significato?
- Quanto la realizzazione del mio potenziale è legata al significato che attribuisco al mio lavoro?
Rispondendo a questi quesiti è possibile fare riaffiorare nuove consapevolezze e acquisire fiducia per fare scelte consapevoli per il proprio presente e per il proprio futuro.
Concludo con la citazione di un anonimo che è anche un augurio per noi tutti: «Fare quel che ami è la libertà; amare quel che fai è la felicità»